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Tempio di Ercole
Nel 1834 la Commissione di Antichità e Belle Arti di Palermo avviò i primi interventi di restauro del Tempio di Ercole, o Tempio di Eracle.
Il ritrovamento di una statua acefala alimentò a tal punto l’interesse della Commissione per il sito, che incaricò l’architetto provinciale Saverio Bentivegna di affiancare il lavoro dei delegati locali di Girgenti. I resoconti di Bentivegna ci restituiscono l’immagine di un tempio “tutto rovinato”, tanto che in un primo momento confessò la sua incapacità di formulare un’ipotesi di spesa per il suo restauro. Come leggiamo tra le pagine del Prefetto di Girgenti, il modo in cui quei “venerandi ruderi giacciono al suolo distesi” fu per “effetto di terremoto” e perché i Cartaginesi lo avevano “già abbattuto”. Infatti, solo una delle otto colonne che giacevano a terra era sopravvissuta a queste calamità. Egli pregò la Commissione affinché venissero ricostruite le otto maestose colonne del tempio nella “certezza di fare un bene al paese e all’Italia”. Ma bisognerà attendere il 1923, anno in cui Sir Alexander Hardcastle finanziò l’opera di restauro, permettendoci di ammirare le colonne così come le vediamo oggi.
Tempio di Giove
Il Tempio di Giove, o Tempio di Zeus, è un’importante testimonianza della diversa sensibilità che le persone hanno mostrato nel corso del tempo nei confronti del sito archeologico agrigentino.
Nelle parole dei custodi va ricercata la profonda dicotomia tra la loro missione di devoti tutori dei “sacri monumenti”, e l’atteggiamento di chi invece abusava di questi reperti. L’area in cui sorge il tempio è stata, ad esempio, spesso eletta dai pastori come luogo dove pascolare gli animali. In un resoconto del Regio Custode Raffaello Politi leggiamo tutta la sua indignazione nei confronti di un bovaro e della sua mandria di “bovi che devastavano que’ venerandi Ruderi”. Questo episodio lo spinse a richiedere delle armi per i custodi, tanto gravi e frequenti erano gli scontri “co’ pecoraj di Girgenti”.
In altri documenti troviamo “quei sacri ruderi che sono l’ammirazione del mondo tutto” adibiti a bettola o, come riporta il custode Pasquale Rizzo Pinna nella sua lettera all’Intendente di Girgenti, a residenza di una famiglia di caprai.
Tempio dei Dioscuri
Il Tempio Castore e Polluce, o Tempio dei Dioscuri, occupa la parte più a sud di un vasto complesso di aree sacre, chiamato Santuario delle Divinità Ctonie. Il suo aspetto attuale è il risultato di una ricostruzione eseguita dalla Commissione di Antichità della Sicilia avvenuta tra il 1836 e il 1852, la quale utilizzò elementi di edifici di epoche diverse.
Ancora oggi la denominazione di questo tempio è considerata una convenzione: infatti, fin dai primi scavi, venne messa in discussione la sua associazione con il mito dei due argonauti. Tra i primi a manifestare questa perplessità ci fu l’architetto provinciale Saverio Bentivegna, il quale segnalò al Prefetto di Girgenti che il pavimento rinvenuto durante gli scavi non era di un tempio ma di “qualche altro pubblico edificio, e probabilmente il foro” perché, rifacendosi ad un detto di Cicerone, “non lungi dal tempio di Giove olimpico vi era il foro”. In un altro resoconto degli interventi fatti nel tempio di Giove, Bentivegna ipotizzò che i capitelli e i pezzi di fusti di colonne ritrovati sotto i piani dell’edificio appartenessero in realtà al tempio dei Dioscuri.
Tempio di Demetra
Il crescente fascino per le antichità classiche alimentò il traffico illecito dei reperti storici, che venivano venduti ai collezionisti privati o al re stesso in cambio di una ricompensa.
Quando nel 1869 venne rinvenuta una statua trafugata di Proserpina, l’allora segretario generale del Ministro della Pubblica Istruzione, Pasquale Villari, esortò il Prefetto di Girgenti ad applicare il decreto che stabiliva la confisca dei beni non denunciati e ritrovati clandestinamente. Come leggiamo dalle parole del segretario, l’applicazione di questa norma era fondamentale per contrastare l’ignoranza di coloro che ritenevano questi oggetti “res nullius”.
Un altro caso di reperto trafugato occorse nel Tempio di Proserpina e Cerere, oggi conosciuto come Tempio di Demetra: una statua acefala di Proserpina venne rinvenuta da un gruppo di braccianti calabresi mentre lavoravano presso il fondo di tale Cavaliere Giambertoni. I manovali trovarono la statua in una tomba, deposta come un defunto, intarsiata d’oro e d’argento, e la trasportarono presso Nicastro, in Calabria.
Museo Archeologico Regionale Pietro Griffo
Nel 1867 venne ritrovato un vaso e consegnato al Museo Comunale di Girgenti. Il Ministro della Pubblica Istruzione richiese al Prefetto di Girgenti di consegnare il reperto alla capitale, impugnando un decreto regio del 1863 secondo cui tutte le antichità rinvenute a Girgenti dalla Commissione di Antichità, dovevano essere consegnate al Museo di Palermo.
Il Municipio di Girgenti si oppose in tale occasione, sostenendo che il vaso era stato trovato fortuitamente e per questo motivo riposto nel museo comunale. Il Ministro definì queste ragioni “boriuzze municipali da correggere”, e che il solo fatto di avere una “stanzaccia” da assegnare a Museo non legittimava tale pretesa.
Nonostante questi scontri, il Museo iniziò ben presto ad arricchire la sua collezione, grazie all’acquisto da parte della giunta municipale di reperti storici da collezionisti privati, e non solo: durante il suo viaggio ad Agrigento, il consigliere britannico William Gregory aveva conosciuto il direttore del Museo Archeologico di Girgenti, il quale gli confessò il desiderio di costituire una raccolta di monete dell’antica città di Akragas e della romana Agrigentum. Data la sua passione per le antichità agrigentine, e il desiderio di contribuire alla crescita del nuovo Museo, il viaggiatore britannico donò una copia di monete di Akragas dal British Museum.